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Le radici dell’insicurezza e come nascono i nostri schemi interiori
A volte capita di sentirsi inadeguati anche quando, in apparenza, tutto va bene. Magari si raggiungono risultati, si ottengono conferme dall’esterno, ma quella sensazione di non essere mai abbastanza non se ne va. Questo stato d’animo è più comune di quanto si pensi, e spesso trova origine nelle esperienze vissute durante l’infanzia.
Da piccoli impariamo presto a capire quali comportamenti vengono apprezzati da chi si prende cura di noi. Senza rendercene conto, iniziamo ad adattarci per ottenere attenzione, affetto o semplicemente per evitare un rimprovero. Alcuni diventano bambini tranquilli per non creare problemi, altri cercano di eccellere in qualcosa per ottenere approvazione. Questi comportamenti, che allora ci aiutavano a sentirci al sicuro, col tempo diventano automatismi profondi.
Nessun genitore è perfetto. Anche chi ci ha cresciuto porta con sé fragilità e limiti, spesso senza volerlo. Quando l’amore non arriva nella forma di cui si ha bisogno, si cerca un modo per conquistarlo. Un bambino può pensare che per meritare affetto debba ottenere ottimi voti. Una bambina può convincersi che per essere amata debba sempre essere disponibile e accondiscendente. Queste strategie diventano parte di noi, strutture interiori che ci accompagnano nell’età adulta.
Quando le vecchie strategie ci imprigionano
Quello che un tempo era un modo per sopravvivere emotivamente, crescendo può diventare un limite. Si continua a comportarsi secondo modelli che non corrispondono più a ciò di cui si ha realmente bisogno. Anche se la vita cambia, i vecchi automatismi restano.
Chi ha imparato a ottenere amore attraverso i risultati, magari da adulto si impegna sempre al massimo, raggiunge obiettivi importanti, ma continua a sentirsi insicuro. Il traguardo si sposta ogni volta un po’ più in là, e con esso anche la speranza di sentirsi finalmente in pace con se stessi. Si sviluppa un senso costante di ansia e la paura di fallire non lascia spazio alla serenità.
Chi invece da piccolo cercava di mantenere l’armonia familiare rinunciando ai propri bisogni, da adulto spesso fatica a esprimersi. Dire di no o affermare il proprio punto di vista diventa difficile. Si finisce per mettere da parte ciò che si prova, per evitare tensioni. Questo comportamento porta con sé una frustrazione silenziosa e una crescente sensazione di smarrimento.
Anche chi si è abituato a prendersi cura degli altri per sentirsi utile e accettato, col tempo rischia di dimenticare se stesso. Spesso queste persone non riescono a chiedere aiuto, e si sentono svuotate, senza energie, incapaci di capire cosa desiderano davvero. Sono forme di adattamento nate in contesti specifici, che nel tempo si irrigidiscono fino a diventare vere gabbie interiori.
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Capire i propri automatismi con uno sguardo più gentile
Quando si iniziano a riconoscere questi schemi, la reazione istintiva è spesso quella di volerli eliminare. Ma combatterli non porta beneficio. Non sono nemici da abbattere, ma risposte antiche che hanno avuto senso in un altro momento della vita. Sono il frutto di un istinto di protezione, messi in atto da una parte di noi che voleva solo sentirsi al sicuro.
Quel bambino che ha imparato a essere sempre il migliore lo ha fatto perché aveva bisogno di essere visto. Quella bambina che ha smesso di chiedere attenzione lo ha fatto perché non voleva essere un peso. In quel momento, non c’era molta scelta. Quegli adattamenti, per quanto oggi ci appaiano limitanti, allora sono stati importanti.
Guardare queste parti di noi con comprensione è il primo passo per iniziare un cambiamento vero. Accogliere ciò che abbiamo sviluppato per proteggerci è più utile che giudicarlo. È un modo per iniziare a costruire una relazione diversa con noi stessi, più morbida, più realistica, più umana.
Come iniziare a liberarsi dagli automatismi
Cambiare questi meccanismi non è questione di forza di volontà. Serve tempo, pazienza, e soprattutto consapevolezza. Il primo passo è notare quando si attivano. Quando si reagisce in modo sproporzionato o quando si sente quella tensione interna che spinge ad agire secondo abitudine. Fermarsi e osservare ciò che accade, senza giudizio, è già un modo per creare uno spazio nuovo dentro di sé.
In questo spazio si può iniziare a domandarsi quale bisogno c’è dietro quel comportamento. Forse c’è bisogno di riconoscimento, oppure si cerca sicurezza o affetto. Dare un nome a queste sensazioni aiuta a ridare dignità a ciò che si prova. Non si tratta più di combattere l’ansia o la paura, ma di comprenderne il significato.
Un altro passo importante è iniziare a dare a se stessi ciò che è mancato. Se un tempo si desiderava sentire che si era importanti indipendentemente dai risultati, oggi si può lavorare per sviluppare questo sguardo verso di sé. Se c’era bisogno di sentirsi accolti anche nei momenti di rabbia o tristezza, oggi si può provare a non censurare più quelle emozioni.
Un piccolo gesto concreto può essere trovare una foto di sé da bambino e tenerla in vista. Guardarla ogni giorno, ricordando a quel bambino che è al sicuro, che non deve più lottare per meritarsi affetto. Questo tipo di attenzione può sembrare semplice, ma nel tempo modifica il modo in cui ci si percepisce.
Imparare ad ascoltarsi e a darsi valore
Liberarsi dai vecchi schemi richiede di costruire una relazione nuova con la propria interiorità. Si tratta di imparare ad ascoltarsi senza fretta, di rispettare i propri ritmi, di riconoscere i propri limiti. Non è un processo immediato. Alcuni giorni sembrerà di fare passi avanti, altri di tornare indietro. Ma con il tempo si inizia a sentire una maggiore stabilità.
Le reazioni automatiche iniziano a perdere forza. Le decisioni si basano sempre meno sulla paura e sempre più su ciò che è autentico. Anche le caratteristiche che prima sembravano solo fragilità iniziano a essere viste in modo diverso. La sensibilità, per esempio, può diventare una risorsa preziosa, così come la determinazione che un tempo serviva a sopravvivere, oggi può essere al servizio di obiettivi più vicini a ciò che si desidera davvero.
Questo processo non richiede perfezione. Serve piuttosto continuità e disponibilità ad accogliere anche i momenti di fatica. È così che si crea uno spazio più autentico, dove si può essere se stessi senza dover sempre dimostrare qualcosa. In questo spazio, il valore personale non ha bisogno di conferme esterne, perché si inizia a sentirlo come qualcosa che fa parte di sé, da sempre.
